Mostre – Pagina 8 – Fondazione Giorgio Cini

Franco Gentilini. Ritratti di Luciana.

La Fondazione Giorgio Cini ospita una mostra dal 15 giugno-14 luglio di Franco Gentilini Ritratti di Luciana presso la Saletta espositiva della Manica Lunga.

I venti disegni di Franco Gentilini (1909-1981), donati dalla vedova Luciana alla Fondazione Giorgio Cini nel 2017, sono la testimonianza dell’ultima e intensa stagione dell’artista, dal matrimonio del 1970 fino alla morte nel 1981. Ambito rilevante della sua ricerca artistica, sviluppato con il lungo tirocinio di illustratore per riviste come “Quadrivio”, “L’Italia Letteraria”, “La Fiera Letteraria”, il disegno costituisce per Gentilini un momento fondamentale dell’elaborazione creativa, che in questi fogli ha raggiunto il suo tipico stile gentile e arcaizzante che ne fa l’ultimo rappresentante della pittura metafisica del secondo dopoguerra, come aveva intuito con lungimiranza Carlo Cardazzo, che fu suo mercante per un lungo periodo.

Il corpus grafico di Franco Gentilini della Fondazione Cini, quasi integralmente esposto in questa piccola mostra che vuole essere un omaggio al maestro e alla generosità della vedova Luciana, è costituito da disegni di varie tecniche (matita rossa, penna acquerellata, carboncino, tempera) e cronologia: venti suggestivi ritratti di Luciana Gentilini che compongono una galleria ‘privata’ ricca di sottili modulazioni espressive e connotata da affascinanti recuperi iconografici dalla tradizione ritrattistica del Seicento e dell’Ottocento.

Biografia di Franco Gentilini
plus

Franco Gentilini nasce nel 1909 a Faenza, dove frequenta i corsi di Disegno e Plastica per artigiani e contemporaneamente lavora per la manifattura “Focaccia & Melandri”. Incoraggiato dal pittore faentino Giovanni Romagnoli, intraprende la via della pittura, che presto lo avvia a una fitta carriera espositiva dalla fine degli anni Venti, con una prima partecipazione alla Biennale di Venezia già nel 1930.

Nel 1932 si trasferisce definitivamente a Roma, dove frequenta la famosa “Terza Saletta” del Caffè Aragno, punto di ritrovo di scrittori e letterati. A Roma realizza la sua prima mostra personale presso la Galleria di Roma, diretta da Pietro Maria Bardi (1933), a cui segue la partecipazione alla II Quadriennale di Roma nel 1935, mentre alla III del 1939 avrà persino una sala personale e alla IV (1943) la Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma gli acquisterà un dipinto.

Sono del 1941 i primi contatti con Carlo Cardazzo e le Edizioni del Cavallino, per le quali illustra le Prose di Renato Mucci. Il rapporto con il gallerista di Venezia si intensificherà poi a partire dagli anni Cinquanta, quando Gentilini diventa uno degli artisti di punta delle sue gallerie del Cavallino e del Naviglio, dove espone per la prima volta nel 1952 in concomitanza con l’uscita di una piccola monografia (la seconda della sua carriera) con introduzione di Alberto Moravia. Sei anni dopo ne seguirà una terza firmata da Guido Ballo (1958). Grazie a questo contesto si recupera traccia del fitto sodalizio con poeti e letterati, di cui l’artista coltiva l’amicizia, testimoniata da edizioni illustrate di loro testi poetici o in prosa, come nel caso, fra i molti, di Leonardo Sinisgalli, Raffaele Carrieri, Libero De Libero, Gualtieri di San Lazzaro. Progressivamente, infatti, Gentilini si afferma come il pittore dei letterati, la cui ricerca sognante e surreale si rivela congeniale a una visione incantata e accostante del reale. Dopo una prima stagione in linea con gli indirizzi estetici dell’arte fra le due guerre, periodo in cui si collocano anche le prime grandi decorazioni murali, nel dopoguerra la sua pittura di tono lieve assume un carattere peculiare, grazie a un particolare espediente tecnico come la preparazione a sabbia delle tele, che conferisce alla superficie pittorica una consistenza granulosa simile a un affresco, ma soprattutto grazie all’elaborazione di uno stile grafico, sintetico e di invenzione surreale. Non a caso, infatti, Carlo Cardazzo, che intuisce da un punto di vista mercantile una continuità fra il suo lavoro e quello di Massimo Campigli, lo presenta nelle numerose mostre presso la sua galleria come un pittore neometafisico, capace, dopo De Chirico, di dare una nuova e moderna dignità d’arte alle Piazze d’Italia. A partire dalla fine degli anni Quaranta si susseguono mostre personali di rilievo in numerose città italiane e all’estero, fra Europa (e in particolare Parigi) e Stati Uniti.

Fu membro dell’Accademia di San Luca dal 1969, divenendone presidente nel 1979. Dopo breve malattia, Franco Gentilini muore nell’aprile del 1981.

Performance / Talk – Yesterday. Today. Tomorrow. Traceability is Credibility

23.05.17 – 18h30

Performance / Talk diretti da
Bryan Mc Cormack (artista e curatore dell’installazione YESTERDAY. TODAY. TOMORROW.)
e
Henry Bell (Sheffield Hallam University)
con la partecipazione degli allievi della Sheffield Hallam University, UK

Yesterday. Today. Tomorrow. è un lavoro concettuale sui recenti fenomeni migratori dell’artista Bryan Mc Cormack. Nucleo del progetto è la visualizzazione della crisi europea dei rifugiati. In quanto solo i rifugiati possono visualizzare e dare voce alla catastrofe umanitaria da loro vissuta, questo lavoro è stato creato grazie alla partecipazione di centinaia di essi: dopo aver ricevuto fogli di carta e penne colorate, ogni rifugiato è stato invitato a realizzare tre disegni, uno della loro vita passata (Yesterday), uno della loro vita presente (Today) e uno della loro vita come immaginata nel futuro (Tomorrow).

Una performance dal vivo della durata di 70-90 minuti di Yesterday. Today. Tomorrow. andrà in scena sull’Isola di San Giorgio Maggiore.
Curata da Bryan Mc Cormack e Henry Bell, la performance includerà più di 30 studenti del corso di laurea in ‘Performance for Stage and Screen’ della Sheffield Hallam University.
Usando i disegni raccolti come punto di partenza per una performance/dibattito esperienziale, nello stile del teatro immagine di Augusto Boal, i performer lavoreranno con i membri del pubblico al fine di creare dei tableaux umani in risposta ai disegni. Attraverso questo percorso, l’attenzione si sposta verso il modo in cui l’esperienza e le aspirazione del pubblico incontrano l’esperienza e le aspirazioni dei rifugiati.
La performance vuole porsi come stimolo di riflessione attiva sulle esperienze vissute dai creatori dei disegni, non come una opportunità per osservare morbosamente le persone implicate nella crisi umanitaria. Partecipando ad un ulteriore elemento di rintracciabilità delle loro vite, l’obiettivo è permettere alle voci dei rifugiati di essere sentite con dignità.

Qwalala di Pae White

Una nuova scultura “site-specific” dell’artista americana Pae White, commissionata da LE STANZE DEL VETRO sull’Isola di San Giorgio Maggiore a Venezia in concomitanza con la 57a Esposizione Internazionale d’Arte – La Biennale di Venezia

Il 12 maggio 2017, in concomitanza con la 57a Esposizione Internazionale d’Arte – La Biennale di Venezia, la nuova monumentale scultura dell’artista americana Pae White, Qwalala, aprirà al pubblico sull’Isola di San Giorgio Maggiore. È la seconda installazione temporanea (dopo Glass Tea House Mondrian di Hiroshi Sugimoto) a essere commissionata da LE STANZE DEL VETRO per il giardino esterno della sede espositiva.

Qwalala è un muro curvo realizzato con dei “lingotti” di vetro che occupa l’intera area di fronte a LE STANZE DEL VETRO, lungo 75 metri e alto di 2.4 metri. Le migliaia di mattoni di vetro impiegati per realizzare Qwalala sono stati colati a mano dall’azienda veneta Poesia Glass Studio. Ciascun mattone è unico, frutto delle conformazioni imprevedibili e variabili proprie del processo di produzione artigianale. Circa la metà dei mattoni è in vetro trasparente mentre i restanti spaziano tra una gamma di 26 colori, risultato di una tecnica per cui ogni mattone contiene un effetto “tempesta”: un turbinio di colori, pur rimanendo trasparente. In questo progetto i singoli mattoni rappresentano i moduli di un caos contenuto. L’artista combina i mattoni per comporre ciò che da lontano sembra un modello pittorico astratto ma che, a un esame più attento, rivela mondi inaspettati di particolari. I tenui blu, verdi, rosa, grigi e marroni della tavolozza sono tratti dai colori utilizzati nell’arte vetraria romana del primo secolo creati dalla presenza di zolfo, rame, manganese e altri metalli e minerali.

Pae White ha studiato le caratteristiche del luogo e i molteplici punti di vista che offre, non solo da terra ma anche dal campanile della Basilica dell’Isola di San Giorgio Maggiore, così come potrebbe apparire su Google Maps, inserito tra la darsena per le barche e il Labirinto di Borges. Ha scelto il percorso del muro tra migliaia di progetti elaborati a computer con un software di randomizzazione creato appositamente per questo scopo. Le due aperture nel muro si ispirano all’essenzialità ingegneristica che l’artista ha osservato durante una recente visita alle rovine Maya in Messico e suggeriscono che, anche nel clima politico di oggi, i muri possono essere trasparenti e permeabili e anche avere il potere di unire le persone piuttosto che dividerle.

Il titolo dell’opera, Qwalala, è un termine coniato dalla tribù di nativi americani Pomo che significa “luogo in cui scende l’acqua” e fa riferimento al corso serpeggiante del fiume Gualala nella California del nord che l’opera vuole richiamare, sia nella sua struttura che nel layout. Il gioco di luce sempre mutevole del muro ricorda il continuo variare del colore e della temperatura delle acque del fiume nel loro percorso verso l’Oceano Pacifico. Inoltre, il nome stesso di “Qwalala”, quando viene pronunciato, evoca l’esperienza viscerale del corpo mentre si sposta lungo il muro e segue le sue curve.

Pae White è da tempo interessata al vetro e al suo potenziale come materiale da costruzione che fonde l’idea di caos e di inafferrabilità con la praticità. I metodi di costruzione e i mattoni utilizzati per Qwalala sono il risultato di una lunga ed esaustiva ricerca sul materiale e sulla sua funzionalità per la costruzione. Apparentemente semplice nella sua forma, il muro è un’impresa di ingegneria complessa, resa possibile grazie all’analisi strutturale e alla progettazione di uno studio di ingegneria leader nel settore, schlaich bergermann partner. Il muro è supportato da una base in acciaio e da uno speciale sigillante strutturale fornito da Dow Corning. Qwalala testimonia l’interesse di Pae White nel combinare materiali comuni con tecnologie all’avanguardia, tradizione artigianale con ingegneria avanzata, e nel ricorrere alla produzione industriale per sfidarne i limiti. Il risultato può essere interpretato sia come scultura evocativa dell’architettura sia come architettura evocativa della scultura.

Il progetto sarà accompagnato da un libro pubblicato da Verlag der Buchhandlung Walther Koenig. Pae White produrrà anche nuove edizioni d’artista in vetro di Murano per LE STANZE DEL VETRO.



Qwalala
di Pae White è la seconda di una serie di commissioni per l’area all’esterno de LE STANZE DEL VETRO sull’isola di San Giorgio a Venezia. Il concetto alla base di queste installazioni temporanee è quello di consentire a un’artista di fama internazionale di lavorare su larga scala e dedicarsi allo spazio tra scultura e architettura. Ciascun progetto sarà presentato nel corso di due anni, durante le Biennali di Arte e Architettura di Venezia, al fine di coinvolgere sia i rispettivi segmenti di pubblico che il pubblico in generale.
LE STANZE DEL VETRO è un’iniziativa congiunta di Fondazione Giorgio Cini e Pentagram Stiftung. Qwalala è stata resa possibile grazie al supporto di Pentagram Stiftung, schlaich bergermann partner e Dow Corning in collaborazione con Poesia Glass Studio. Un ringraziamento speciale va a Costruzioni e Restauri G. Salmistrari e a Cattaruzza Millosevich Architetti Associati per aver supervisionato ogni fase della progettazione e costruzione dell’opera.

LE STANZE DEL VETRO organizzano attività didattiche e visite guidate di Qwalala a cura di Artsystem. Tutte le attività didattiche sono gratuite e possono essere prenotate chiamando il numero verde 800 662 477 (dal lunedì al venerdì dalle 10 alle 17) o via e-mail: artsystem@artsystem.it.


 

Breve biografia – Pae White

Pae White (n. 1963) è un’artista americana attiva a Los Angeles, California. Lavorando con diversi mezzi espressivi si dedica a una tecnica che sposa scultura, installazioni e pittura così come architettura, arredamento e grafica. Le installazioni architettoniche su larga scala di Pae White spesso si integrano perfettamente con il luogo in cui vengono realizzate. La sua tecnica è caratterizzata da un uso non convenzionale di materiali come vetro, tessuto, carta, cavi e vinile e dal suo desiderio di creare opere che vanno oltre la gamma delle sue abilità personali invitando artigiani e produttori industriali a contribuire alla realizzazione dei suoi progetti.

Sfruttando le lacune percepite tra arte, artigianato e design, Pae White ha creato un corpus straordinariamente eterogeneo.
La recente personale e le commissioni pubbliche includono Comand-Shift-4, Henry Art Gallery, Seattle (2015), O R L L E G R O, MAK, Vienna (2013), Too much night, again, South London Gallery, Londra (2013), Magic Carpet Ride, Aeroporto di Berlino Brandenburg (2012), Woven Walk, Aeroporto di Los Angeles LAX (2012), Restless Rainbow, The Art Institute of Chicago (2011), Dying Oak/Elephant, Saint Louis Art Museum, Saint Louis (2010), Material Mutters, The Power Plant, Toronto (2010), MetaFoil, sipario per il nuovo teatro dell’opera di Oslo (2008), Lisa Bright and Dark, Scottsdale Museum of Contemporary Art, Scottsdale (2008) e In no particular order, Manchester Art Gallery, Manchester (2006).
Tra le mostre collettive: Le Souffleur, Ludwig Forum für Internationale Kunst, Aachen (2015), Artists and their time, Istanbul Modern, Istanbul (2015), Magnificent Obsessions; The Artist as Collector, Barbican Art Gallery, Londra (2015), Selections from the Grunwald Center and the Hammer Contemporary Art Collection, The Hammer Museum, Los Angeles (2013), Contemplating The Void, Guggenheim Museum, New York (2010), 75a Biennale di Whitney (2010), 53a Biennale di Venezia (2009) e run run, Collins Gallery durante L’Internazionale di Glasgow (2008). Pae White è rappresentata da greengrassi a Londra, kaufmann repetto a Milano e neugerriemschneider a Berlino.

 

Yesterday/Today/Tomorrow: Traceability is Credibility

Yesterday/Today/Tomorrow: Traceability is Credibility

 L’artista irlandese Bryan Mc Cormack racconta l’odissea dei rifugiati con un’installazione promossa dalla Fondazione Giorgio Cini Evento collaterale della 57. Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia.


 Yesterday/Today/Tomorrow: Traceability is Credibility è il risultato di un lavoro concettuale sui fenomeni migratori degli ultimi anni dell’artista Bryan Mc Cormack. Cuore del progetto è la visualizzazione della crisi europea dei migranti e l’avvio di un programma di ricerca per la raccolta, conservazione e interpretazione di questi dati visivi. L’artista, trascorrendo più di un anno in decine di campi in tutta Europa, ha lavorato con centinaia di profughi di diverse nazionalità chiedendo loro di realizzare tre disegni distinti con delle penne colorate: uno della vita passata (Yesterday-Ieri), uno della vita presente (Today-Oggi) e uno di come si immaginano la vita futura (Tomorrow-Domani). I disegni così raccolti costituiscono dei “blocchi visivi” che formano il cuore dell’installazione.

Il 23 maggio 2017 avrà luogo, sull’Isola di San Giorgio Maggiore, una performance, curata dall’artista insieme al Prof. Henry Bell della Sheffield Hallam University. Gli studenti del Prof. Bell, attraverso le tecniche performative del Teatro d’Immagine di Augusto Boal, si muoveranno prendendo ispirazione dai disegni dei rifugiati. Inoltre, in occasione dell’Art Night di Venezia, sabato 17 giugno 2017, Bryan Mc Cormack terrà una conferenza all’Isola di San Giorgio.

Il progetto vuole dare una voce a questi rifugiati anche tramite i social media. Ogni giorno verranno caricate su Facebook, Instagram e Twitter tre immagini dei disegni realizzati dai rifugiati. In questo modo l’artista vuole sensibilizzare il mondo alla crisi dei migranti eliminando le barriere linguistiche e culturali.

Bryan Mc Cormack, nato a Dublino nel 1972, vive e lavora a Parigi. Ha realizzato principalmente opere ‘socialmente e politicamente impegnate’. Ha all’attivo più di trenta esposizioni in gallerie, musei e spazi istituzionali, come il Centre Pompidou e l’Unesco a Parigi, l’Empire Gallery a Londra e il Museo Chopin a Valldemossa. Una sua opera monumentale si trova nel parco di Saint-Cloud a Parigi.

Faurschou Foundation Venice

Andy Warhol e Robert Rauschenberg al Museo Pergamon 1983
© Christopher Makos, 1983, christophermakos.com

Fondazione Faurschou Venezia

Robert Rauschenberg & Andy Warhol
“Us Silkscreeners…”
12.05.17 – 27.08.17

Robert Rauschenberg
Late Series
12.05.17 – 27.08.17

Paul McCarthy
Christian Lemmerz
New Media (Virtual Reality Art)
12.05.17 – 27.08.17

In concomitanza con la 57° Biennale di Venezia 2017, la Fondazione Faurschou è lieta di presentare presso la Fondazione Giorgio Cini tre mostre di importanza storica e artistica: “Us Silkscreeners…”, Late Series e New Media (Virtual Reality Art).

“Us Silkscreeners…” e Late Series offrono ai visitatori un prezioso scorcio su alcune delle opere d’arte più forti di Rauschenberg nonché su alcuni dei momenti decisivi della sua carriera.

“Us Silkscreeners…”

La mostra Us Silkscreeners… assume come punto di partenza i primissimi dipinti serigrafati da Rauschenberg e Warhol, ovvero rispettivamente Renascence e la serie Dollar Bills, entrambi terminati nel 1962. Nella primavera dello stesso anno l’incontro tra i due artisti segnò l’inizio di un nuovo orientamento nella tecnica del trasferimento delle immagini fotografiche che, non solo ebbe delle forti ripercussioni nella carriera dell’artista ma avrebbe influenzato anche la scena artistica nel suo complesso, così forgiando l’eredità di Rauschenberg e Warhol. Nonostante utilizzassero le serigrafie in modi diversi, nel 1962 entrambi gli artisti condivisero un punto di partenza comune. Dopo più di cinque decenni dall’assegnazione del Gran Premio a Rauschenberg nel 1964 per la sua attività rivoluzionaria, la Fondazione Faurschou è lieta di riportare Rauschenberg a Venezia – questa volta non solo con le sue serigrafie ma incentrando l’attenzione sulle serie tarde dell’artista.

Per la mostra verrà anche allestita una sala studio con film, libri e ulteriori informazioni sui due artisti, sulle serigrafie e sul loro incontro del 1962. La Fondazione Faurschou realizzerà inoltre un ricco catalogo completo di testi e illustrazioni che narreranno l’intera storia delle prime serigrafie di Rauschenberg e Warhol per l’arte contemporanea.

Late Series

La mostra, partendo dalla storia delle primissime serigrafie dell’arte contemporanea, presenta due opere appartenenti ad alcune delle serie tarde più importanti di Rauschenberg, tra cui Borealis, Urban Bourbon, Scenarios e la sua ultima: Runts. Il fil rouge comune a tutte le serie è il trasferimento dell’immagine, tecnica che l’artista iniziò a utilizzare nel 1962 e da allora sviluppò e raffinò in modi diversi.

Robert Rauschenberg è stato uno degli artisti più influenti del suo tempo, e lo è ancora. Si approcciava all’arte in modo eclettico ricorrendo all’uso di molteplici immagini, materiali e fotografie trasferite o scolpite su tela impiegando una vasta gamma di tecniche. Nella sua arte e attività creativa Rauschenberg voleva creare un riflesso del mondo che lo circondava. Molte delle sue ultime opere sono il risultato dell’esplorazione ininterrotta dei metodi di trasferimento delle immagini e della sua attitudine aperta verso il mondo.

New Media (Virtual Reality Art)

In contemporanea la Fondazione Faurschou presenta le opere new media degli artisti di fama internazionale Paul McCarthy e Christian Lemmerz. La realtà virtuale è entrata con successo nel mercato globale ad un ritmo insolitamente accelerato. Nel mondo dell’arte questo mezzo è a un punto di svolta nella creazione e fruizione dell’arte. Khora Contemporary, una piattaforma dedicata esclusivamente all’arte virtuale (VR), creata come ponte tra gli artisti e gli sviluppatori della realtà virtuale, ha visto la collaborazione di Paul McCarthy e Christian Lemmerz, i precursori in questo campo, per la produzione di nuove stupefacenti opere new media. La Fondazione Faurschou invita il visitatore a immergersi in nuovi scenari in cui le sfere fisica e psicologica si sovrappongono.

Fondazione Faurschou

La Fondazione Faurschou ospita una collezione di arte contemporanea e offre un programma dinamico presso sue sale nel porto industriale di Copenaghen e nel distretto dell’arte di Pechino, 798. La Fondazione continua a sviluppare e ampliare la sua collezione, utilizzando il proprio programma per rispondere ai fabbisogni artistici e offrire ai visitatori accesso alle opere di alcuni degli artisti più acclamanti del mondo. A partire dalla sua apertura nel 2012 la Fondazione Faurschou ha presentato le personali di molti dei maggiori artisti contemporanei e personalità storiche chiave tra cui Yoko Ono, Peter Doig, Ai Weiwei, Cai Guo-Qiang, Louis Bourgeois, Shirin Neshat, Gabriel Orozco, Danh Vo e Bill Viola.

Robert Rauschenberg

Robert Rauschenberg fu la personalità trainante dell’arte contemporanea per circa sessant’anni, creando un patrimonio artistico completo di dipinti, fotografie, sculture, performance e incisioni, e lavorando nel modo più multiforme in assoluto rispetto agli altri artisti del suo tempo. Per Rauschenberg la pittura comportava non solo l’uso del pennello ma anche l’utilizzo di serigrafia, collage, trasferimento e stampa sulla più vasta gamma di materiali: tela, tavola e tessuto fino a lamiera, Plexiglas, gesso e carta. È stato definito il precursore di virtualmente qualsiasi movimento artistico americano post bellico dopo l’Espressionismo astratto anche se rimase profondamente indipendente da qualsiasi particolare affiliazione nel corso della sua vita multiforme.

Andy Warhol

L’artista americano della pop-art Andy Warhol, tanto famoso per le sue battute quanto per la sua arte, ha dato vita ad alcune delle immagini più iconiche del XX secolo. Tra le sue massime rientrano “con l’arte ti puoi permettere tutto”[1] e “in futuro tutti saranno famosi per quindici minuti”. Warhol attinse molto dalla cultura popolare e dai soggetti ordinari, creando opere come 32 Campbell’s Soup Cans (1962), sculture a forma di scatola della saponetta Brillo, e ritratti di Marilyn Monroe utilizzando la tecnica dell’incisione serigrafata per ottenere i suoi caratteristici bordi marcati e aree piatte di colore. Noto per il suo culto della celebrità, il Factory studio (un melting pot radicale, sociale e creativo) e film d’avanguardia come Chelsea Girls (1966), Warhol fu anche il mentore di artisti come Keith Haring e Jean-Michel Basquiat. La sua sensibilità pop è ora un costume comune, ripreso da alcuni dei maggiori artisti contemporanei come Richard Prince, Takashi Murakami e Jeff Koons, tra innumerevoli altri.

 

Per informazioni: Katrine Winther, Fondazione Faurschou
katrine@faurschou.com / +45 33 91 41 31

 Contatti per la stampa: Claire Walsh, Brunswick Arts
Faurschaufoundation@brunswickgroup.com / +44 (0) 7980 727 296

Facebook: Faurschou.Foundation    Instagram: @faurschou_foundation

[1] Traduzione libera

Alighiero Boetti: Minimum – Maximum

 La mostra celebra il genio dell’artista torinese con oltre 20 opere di forte impatto selezionate per la prima volta secondo il criterio del formato, confrontando i “minimi” e i “massimi” delle sue serie più significative

 L’esposizione, curata da Luca Massimo Barbero con l’Archivio Alighiero Boetti, presenta un progetto speciale sviluppato da Hans Ulrich Obrist e Agata Boetti sul tema della fotocopia intitolato COLORE = REALTÀ. B+W = ASTRAZIONE (a parte le zebre)

L’isola di San Giorgio Maggiore a Venezia ospita dal 12 maggio al 12 luglio 2017 un grande, inedito viaggio all’interno dell’opera di Alighiero Boetti, uno dei più importanti artisti italiani, al culmine di un momento di grande celebrazione che lo vede protagonista. Alighiero Boetti: Minimum/Maximum, a cura di Luca Massimo Barbero, direttore dell’Istituto di Storia dell’Arte della Fondazione Giorgio Cini, con la collaborazione dell’Archivio Alighiero Boetti, presenta il risultato di un processo inedito di selezione e confronto: quello tra il formato minimo e massimo di opere dei cicli più rappresentativi del celebre artista torinese, focalizzando così uno dei temi che meglio rappresentano l’operatività creativa di Boetti. La mostra è organizzata dalla Fondazione Giorgio Cini in collaborazione con Tornabuoni Art.

Questa mostra offre al visitatore un percorso di rapporto, non antologico e mai scontato, unico nel suo genere, nato dalla raccolta in collezioni pubbliche e private di opere di Boetti di grandi dimensioni – spiega Luca Massimo BarberoÈ un progetto organico pensato appositamente per Venezia in questo momento di grandi conferme internazionali di uno dei più importanti esponenti dell’arte italiana”.

Articolata in sezioni, per un totale di più di 20 opere, l’esposizione include, oltre ai cicli più significativi di Boetti – Ricami, Aerei, Mappe, Tutto e Biro – alcune opere meno note come i Bollini colorati, la Storia Naturale della Moltiplicazione e le Copertine, e costituisce un’occasione preziosa per presentare anche lavori di fatto sconosciuti al grande pubblico, come la grande opera con bollini colorati Estate 70 (1970) – prestata per quest’evento direttamente dalla famiglia dell’artista – e Titoli (1978), uno dei più grandi formati del raro ciclo dei Ricami monocromi. In mostra ci sarà anche uno dei più grandi Mimetico (1967), una delle prime serie di opere di Boetti, in prestito dalla Fondazione Prada.

Il tema del formato è cruciale per comprendere il modo in cui Boetti ideava e realizzava i suoi lavori, ed è direttamente collegato al concetto di tempo: come in Estate 70, opera monumentale che apre il percorso espositivo, realizzata su un rotolo di carta lungo venti metri sul quale Boetti ha incollato migliaia di bollini autoadesivi colorati: unica per le dimensioni e perché introdusse in modo dirompente il tema del tempo necessario alla fruizione dell’opera. Complementari a livello di senso sono le opere di formato minimo, che rappresentano l’opposizione dialettica nella creatività di Boetti.

La mostra si dispiega in un puntuale confronto fra piccolo e grande, minimo e massimo, presentando le opere Storia Naturale della Moltiplicazione, Mettere al mondo il mondo e Alternando da uno a cento e viceversa – offrendo al visitatore la possibilità di fruire in un unico contesto di opere di periodi differenti – fino al grande trittico Aerei (1989), in prestito dalla prestigiosa Fondation Carmignac di Parigi.

Fra la prima e la seconda sala sarà in esposizione il documentario Niente da vedere Niente da nascondere, realizzato nel 1978 da Emidio Greco in occasione della retrospettiva dedicata a Boetti alla Kunsthalle di Basilea, che alterna immagini della mostra svizzera a momenti nello studio romano dell’artista, importante perché ridà testimonianza diretta delle parole di Boetti.

Il percorso prosegue poi con le celebri Mappe e con i Tutto, “zibaldone dei temi e delle immagini di Boetti” – spiega Barbero – che introducono l’importante tema della realizzazione differita dell’opera d’arte, del viaggio e del nomadismo dell’arte, a sua volta interconnesso con quello del tempo. Elemento ben evidente ad esempio nei ricami, che una volta iniziati dai collaboratori a Roma, venivano spediti a Kabul, poi a Peshawar in Pakistan a seguito dell’invasione Sovietica dell’Afghanistan nel 1979, dove le ricamatrici delle famiglie di rifugiati afghani li realizzavano con l’accostamento dei colori da loro scelto, seguendo le regole del gioco dettate da Boetti, per poi tornare a Roma dove l’artista le vedeva finite per la prima volta.

La parte dei confronti si chiude quindi con la grande opera Copertine (1984), che riprendere l’idea dell’ossessività dei media e la formula dell’immagine trasmessa e riutilizzata e che introduce il progetto speciale di Hans Ulrich Obrist, direttore artistico delle Serpentine Gallery di Londra, e Agata Boetti, direttrice dell’Archivio Alighiero Boetti, che esemplifica ulteriormente il modo di pensare essenzialmente dialettico di Boetti e si sviluppa attorno al tema della fotocopia. “Già nel ’69 a Torino, quando andavo allo show-room della Rank Xerox con le mie monetine in tasca, le idee erano tante. – affermava Boetti nel 1991 – Dicevo, la fotocopiatrice non è una macchina solo da ufficio, nel duemila l’avremo tutti nel salotto! Affidatemene una, ve ne documenterò alcune applicazioni creative. Non intendevo manipolare il meccanismo o l’inchiostro, come hanno fatto alcuni da Munari in poi. No, m’interessava l’applicazione standard. Ma ad esempio l’avrei messa sul balcone quando comincia a piovere, una goccia, dieci gocce, mille gocce….”.

COLORE=REALTÀ. B+W=ASTRAZIONE (a parte le zebre) esplora queste “applicazioni creative” di Boetti, riunendo per la prima volta un insieme di opere eseguite con la fotocopiatrice nei diversi momenti della carriera dell’artista e che sono, secondo Obrist, testimoni della passione di Boetti per le tecnologie della comunicazione (come la polaroid o l’uso del fax che – introdotto negli anni ottanta – è sintesi di posta e fotocopia) e invitano a immaginare gli usi creativi che Boetti avrebbe trovato per gli attuali mezzi di comunicazione e riproduzione delle immagini: “Presentando questi lavori sul muro, così come stiamo facendo con le 1665 fotocopie alla Fondazione Cini, mostreremo al pubblico che Boetti era come una versione analogica di Internet. Era come un motore di ricerca. Ha anticipato Google con mezzi analogici”.

 Al centro della sala dedicata alle fotocopie, i visitatori sono invitati a utilizzare una vera e propria fotocopiatrice, seguendo le regole del gioco appositamente create dall’artista messicano Mario Garcia Torres per rendere omaggio ad Alighiero Boetti.

Alighiero Boetti: Minimum/Maximum a cura di Luca Massimo Barbero e il progetto speciale COLORE = REALTÀ. B+W = ASTRAZIONE (a parte le zebre), curato da Hans Ulrich Obrist e Agata Boetti, sono ciascuno accompagnato da un catalogo edito da Forma Edizioni.

Ettore Sottsass: il vetro

ph. Enrico Fiorese

La mostra Ettore Sottsass: il vetro, curata da Luca Massimo Barbero, direttore dell’Istituto di Storia dell’Arte, intende analizzare in maniera esaustiva la produzione del designer italiano legata al vetro, un materiale che interessa Sottsass fin dagli anni quaranta, quando alla Biennale di Venezia del 1948 presenta alcuni oggetti realizzati in collaborazione con la ditta S.A.L.I.R. di Murano. Sempre a Venezia, negli anni settanta, collabora con la vetreria Cenedese per la realizzazione di oggetti in vetro le cui forme sono in questi anni molto prossime a quelle delle sue ceramiche. Ma sarà solo dopo la fondazione del gruppo Memphis (1981) che vedranno la luce le vere e proprie sculture in vetro affidate agli artigiani della vetreria Toso; in quest’occasione Sottsass introdurrà l’impiego della colla chimica, sfidando la secolare tradizione del vetro muranese.
La mostra, che consterà di circa 200 pezzi, può contare sui prestiti di importanti collezioni private, nonché sui pezzi conservati presso gli archivi storici delle vetrerie e delle aziende veneziane con le quali Sottsass
ha collaborato; saranno inoltre inseriti nel percorso espositivo anche gli splendidi vetri realizzati per la vetreria Venini. L’esposizione sarà accompagnata da un catalogo (Skira editore) che ospiterà un saggio introduttivo di taglio strettamente biografico ed altri contributi più estesi, a firma del curatore stesso ma anche di architetti, direttori museali, studiosi che con lui hanno collaborato. È previsto inoltre un esaustivo regesto della produzione di Sottsass, costruito con schede tecniche dedicate ad ogni singolo pezzo. La bibliografia, mirata alla sola produzione di vetri, consta di oltre 200 titoli ed è il frutto di una scrupolosa ricerca d’archivio.


 

 

Afterglow: Pictures of Ruins

In concomitanza con l’apertura di Palazzo Cini verrà proposta al pubblico una mostra di arte contemporanea. La casa-museo ospiterà infatti al secondo piano Afterglow: Pictures of Ruins, mostra fotografica del celebre artista contemporaneo Vik Muniz, curata dal direttore dell’Istituto di Storia dell’Arte Luca Massimo Barbero.

Realizzata in collaborazione con Ben Brown Fine Arts, la mostra vedrà esposte fotografie e una scultura vitrea realizzate dall’artista a seguito di una personale rielaborazione di opere già note all’immaginario collettivo.
In particolare, per questo progetto espositivo Vik Muniz trarrà ispirazione dalla tradizione veneta e lagunare, attraverso una rilettura in chiave contemporanea di opere esposte a Palazzo Cini nel 2016 in occasione della mostra Capolavori ritrovati della collezione di Vittorio Cini, ma anche ai capolavori di arte antica appartenenti alla collezione, creando un legame tra il primo e il secondo piano.

Muniz simula le pennellate di questi quadri con ritagli di dipinti riprodotti in volumi di storia dell’arte, attentamente selezionati non solo per i loro valori cromatici ma anche per le immagini
che contengono: incollati insieme, essi richiamano una superficie tattile, a impasto.
Proseguendo la tradizione degli artisti del XVII e XVIII secolo che l’hanno preceduto, Muniz ricombina questi elementi, attraverso la sua natura inventiva, per ricostruire immagini che penetrano nel subconscio visivo dello spettatore stimolando un’ulteriore ricerca.

Eleonora Duse e Vera Komissarzhevskaja. Due dive allo specchio.

L’Archivio Duse della Fondazione Giorgio Cini a Mosca

Giovedì 24 novembre il Centro Studi per la Ricerca Documentale sul Teatro e il Melodramma Europeo della Fondazione Giorgio Cini di Venezia espone una selezione di preziosi documenti provenienti dall’Archivio Duse nel contesto di una prestigiosa mostra dal titolo Eleonora Duse e Vera Komissarževskaja. Due dive allo specchio.

L’esposizione sarà aperta al pubblico dal 25 novembre fino all’8 gennaio 2017  presso il Museo Statale di Storia Russa Contemporanea (Tverskaja, 21).


Lungo il percorso espositivo sarà possibile approfondire i legami tra la grande attrice italiana Eleonora Duse e la collega russa Vera Komissarževskaja, sua contemporanea a lei paragonata dalla critica del tempo. La mostra mette a confronto la vita e l’arte di queste due grandi protagoniste della scena teatrale degli anni tra Otto e Novecento, conosciutesi a San Pietroburgo nel 1896 e legate da stima reciproca.

Maria Ida Biggi, direttrice del Centro Studi Teatro e Melodramma, e Marianna Zannoni, ricercatrice presso lo stesso Centro, firmano la curatela della sezione dedicata a Eleonora Duse (1858-1924), in un ricco percorso che conduce alla scoperta della grande attrice italiana attraverso autografi, fotografie e oggetti che le sono appartenuti. Ad arricchire l’esposizione, una selezione di preziosi abiti appartenuti alla Duse e realizzati nei primi anni del Novecento, firmati da Mariano Fortuny e Paul Poiret.

Nel corso della sua carriera Eleonora Duse recitò moltissimo all’estero, riportando ovunque un clamoroso successo. Tra le tournée estere della Duse, quelle avvenute nei maggiori centri della Russia dell’epoca (nel 1891, nel 1896 e nel 1908) furono particolarmente fortunate, e permettono di seguire l’evoluzione del suo teatro e la parabola del suo successo. Decine sono le recensioni e le testimonianze dei suoi ammiratori: nel 1891, Anton Čechov scrisse alla sorella “Ho proprio ora visto l’attrice italiana Duse in Cleopatra di Shakespeare. Non conosco l’italiano, ma ella ha recitato così bene che mi sembrava di comprendere ogni parola; che attrice meravigliosa! …”. Ancora tra i teatranti, si ricorda l’apprezzamento dei registi Vsevolod Ėmil’evič Mejerchol’d e Konstantin Sergeevič Stanislavskij, che afferma di aver tratto ispirazione dalla Duse per la creazione del Teatro d’Arte di Mosca.

Nell’ambito dell’esposizione verrà inoltre proiettato il film Cenere (1916), unica interpretazione cinematografica di Eleonora Duse che, oltre ad esserne la principale interprete, collaborò alla sceneggiatura e alla stessa regia del film. Cenere, tratto dall’omonima novella del premio nobel Grazia Deledda e prodotto dalla casa cinematografica Ambrosio di Torino, è stato recentemente restaurato grazie al contributo della Regione del Veneto.

All’interno del percorso espositivo, la sezione dedicata a Vera Komissarževskaja (1864-1910) è stata curata da Dmitry Rodionov, direttore del Museo del Teatro Bakhrushin di Mosca: al suo interno sono esposti documenti, fotografie, oggetti appartenuti all’attrice russa.

Completa l’esposizione un progetto multimediale a cura dello CSAR di Venezia, elaborato appositamente per gli spazi della mostra di Mosca a partire da documenti e materiali iconografici provenienti dal Centro Studi Teatro e Melodramma della Fondazione Giorgio Cini e dagli altri musei russi coinvolti.

La mostra Eleonora Duse e Vera Komissarževskaja. Due dive allo specchio è organizzata da prestigiose istituzioni e importanti musei italiani e russi, tra cui il Ministero della Cultura della Federazione Russa, il Museo Statale di Storia Contemporanea Russa, l’Istituto Italiano di Cultura di Mosca, il Centro Studi per la Ricerca Documentale sul Teatro e Melodramma Europeo della Fondazione Giorgio Cini di Venezia, il Centro Studi sulle Arti della Russia di Ca’ Foscari, il Museo Statale del Teatro Bakhrushin di Mosca, il Museo Statale del Teatro e della Musica di San Pietroburgo ed il Centro dei Festival del Cinema e dei Programmi Internazionali di Mosca.

Scarica l’invito

 

 

Paolo Venini e la sua fornace

 

La mostra Paolo Venini e la sua fornace, a cura di Marino Barovier per Le Stanze del Vetro, è dedicata a Paolo Venini (1895–1959), grande protagonista del vetro del Novecento, che con la sua appassionata attività ha contribuito in modo determinante alla vitalità di quest’arte. Milanese, già socio della Cappellin Venini, nel 1925 fondò la vetreria V.S.M. Venini & C. con l’apporto di Napoleone Martinuzzi e Francesco Zecchin, dal quale si separò nel 1932. Divenuto presidente della società, operò instancabilmente come grande regista e direttore della ditta fino alla sua scomparsa, nel 1959. Imprenditore colto e interessato sia ai fermenti artistici coevi sia alle esigenze del mercato internazionale, Paolo Venini intervenne anche come ideatore di nuove serie di vetri, avvalendosi del proprio ufficio tecnico e contribuendo all’articolato catalogo della vetreria, nel contempo arricchito dall’intervento di più autori. Grazie a un attento lavoro di ricerca, la mostra e il relativo catalogo documentano la produzione nata da sue specifiche scelte, che hanno portato, ad esempio, a serie come i vetri Diamante in cristallo, nella seconda metà degli anni Trenta. E soprattutto negli anni Cinquanta che egli si dedicò con assiduità alla creazione dei suoi vetri, ottenendo un grande successo, sia alla Triennale di Milano e alla Biennale di Venezia che in varie manifestazioni internazionali, in Europa e negli Stati Uniti, a sostegno e per la diffusione del design e dell’artigianato italiano. Diversi vetri nacquero anche, tra il 1950 e il 1954, da una raffinata rilettura in chiave innovativa di alcune tecniche tradizionali muranesi, come quella dello zanfirico. Pur mettendo al centro dell’esposizione la straordinaria personalità e il ruolo di Paolo Venini, la mostra vuole illustrare anche la produzione dovuta agli autori che collaborarono con lui in maniera episodica tra gli anni Trenta e gli anni Cinquanta, come Tyra Lundgren, Gio Ponti, Piero Fornasetti, Eugene Berman, Ken Scott, Charles Lin Tissot, Riccardo Licata,Massimo Vignelli, Tobia Scarpa e Grete Prytz.