Mostre – Pagina 14 – Fondazione Giorgio Cini

Miniature Italiane della Fondazione Giorgio Cini. Dal Medioevo al Rinascimento

Miniature, fiori di giardini secreti, dipinte per i codici dei dotti, o per adornamento e illustrazione dei libri liturgici; voce quasi unica dei tempi difficili, rinchiusa nelle polverose biblioteche, o nei non meno polverosi conventi. Talvolta, nei tempi bui, o tardo antichi, o barbarici, evocazione e quasi epicedio del passato felice; ma, nell’aprirsi dei tempi nuovi, dopo il terrore dei «mille», voce atta e talora precorrente.

Per prenderne conoscenza, bisogna frequentare le biblioteche, e bisogna ricercare quei volumi, sfogliarli religiosamente, o contemplarli entro bacheche protettrici. Reperire uno di quei giardini secreti è una festa, ed è anche una grande fortuna. Maggiore fortuna la nostra di possederne uno squisito e prezioso, custodito nella Fondazione Giorgio Cini, e di poterlo ora aprire a godimento degli studiosi e degli uomini di gusto. È da questo tesoro che ebbe inizio quella raccolta la quale custodisce una delle maggiori collezioni d’incunabili veneziani, e di incisioni e disegni preziosi, prevalentemente lagunari o veneti, cioè tutto quel complesso che rappresenta un orgoglioso tesoro, e resterà perpetuo vanto di chi lo ha magnanimamente acquisito e generosamente donato.

Questa mirabile primizia delle raccolte di San Giorgio ha poi un’altra fortuna: quella di essere stata reperita, durante lunghi anni di ricerca, dal nostro massimo medioevalista, nel campo delle arti figurative: Pietro Toesca, maestro e collega carissimo, purtroppo rapito alla scienza nel 1962. Si deve a lui, se non la scoperta, la giusta valutazione e delimitazione dell’ «ouvraige de Lombardie», che si lega tanto ai modi e alla fortuna della miniatura francese, in concomitanza con il grande momento scaligero, conscio della Toscana, e capeggiato dagli scrittori delle arche; il quale, seppure acceso, col geniale maestro Stefano, dalle fantasie lunatiche della corrente internazionale, e legato massimamente al filone boemo, sbocca nel più grande troviero della pittura: Antonio Pisano detto Pisanello. Riaffacciarsi quindi alle raccolte di miniature, dono superbo di Vittorio Cini, è non solo utile e dilettevole, ma proprio.

È giusto che, dopo aver dilettato gli occhi dei Persiani, a Teheran, ed essere approdate alfine in Giappone, si presentino qui, in casa loro. In Persia avranno ricordato il fiorire della miniatura nazionale, sbocciata anch’essa nel XIII° secolo, ma che raggiunse il suo culmine nel XVI°, con quella scuola di Safari, che pare di un Pisanello in ritardo. In Giappone, a Tokio, sarà stata come in casa sua, perché l’arte pittorica nipponica, seppure legata alla cinese, è sempre stata amica dei modi minuti della miniatura, e li ha portati innanzi sino ad oggi. Là, avrà ricordato la non molto lontana raffinatissima opera di Utamaro ( 1754-1797) e di Hirushiga (1797-1858), di cui la Fondazione custodisce, nelle sue raccolte preziose, qualche quaderno scolastico. La scelta delle miniature esposte ha inoltre un suo particolare vantaggio, di essere stata fatta dalla dotta figlia dello stesso Toesca, alla quale pure va il nostro ringraziamento.

Disegni teatrali di Inigo Jones della collezione del Duca di Devonshire a Chatsworth

L’allestimento periodico di rassegne storiche di scenografie costituisce ormai una felice consuetudine e una necessaria integrazione dell’attività di documentazione e di ricerca del nostro Istituto nel settore teatrale. Mentre l’obiettivo specifico è di contribuire a illuminare progressivamente la grande esperienza scenografica veneziana, già colta attraverso due fortunate mostre nella declinante stagione del melodramma ottocentesco con l’opera del Bagnara e dei Bertoja (1962), e nella geniale conclusione del Settecento fra neoclassicismo e romanticismo (e nella sua espansione europea verso la «Moscovia») con quella di Pietro Gonzaga (1967),- e mentre si prepara la complessa realizzazione di una mostra di scenografie bibienesche -, sembra utile mettere a confronto queste visuali locali o «interne» con altre esterne che ne permettano l’inserimento nella più vasta cornice europea che è sempre stata quella di Venezia: così fu con l’utilissima rassegna panoramica delle scenografie della Scala di Milano (1965), così è ora per quelle dell’inglese Inigo Jones, il primo artista straniero presente in questo quadro, nel quale apparirà subito come singolarmente familiare e carico di suggestive affinità e parentele. La presentazione a Londra al Victoria and Albert Museam, della ricchissima raccolta del Duca di Devonshire, comprendente la maggior parte dei disegni teatrali del Jones, era un’occasione troppo bella perchè la lasciassimo passare senza cercarne, e ottenerne subito per la generosa sollecitudine del grande Collezionista e dei trustees di Chatsworth, questo prolungamento veneziano propizio a nuove riflessioni e fruttuosi collegamenti.

Caricature di Anton Maria Zanetti

Il magnifico volume di ottanta fogli contenenti 350 caricature veneziane, dovute a quell’eccezionale «dilettante di genio» che fu Anton Maria Zanetti quondam Girolamo, il Vecchio (1680-1767), capo di una famiglia che vanta l’omonimo cugino quondam Alessandro, illustratore della Pittura Veneziana (1733-1771), e il fratello di questo, Gerolamo, che scrisse l’«Elogio» di Rosalba Carriera, è recentissimo dono del Senatore Vittorio Cini alla Raccolta bibliografica e artistica della Fondazione Giorgio Cini: raccolta illustre per incunabili, per disegni preziosi e per miniature, che hanno viaggiato mezzo mondo a portare la sua voce. Si tratta di un dono che, assieme al grande bibliofilo De Marinis, ho decisamente caldeggiato anche perché giungeva come il piú splendido riconoscimento delle benemerenze dell’Istituto di Storia dell’Arte, che ho l’onore di dirigere fin dalla sua nascita. Non si poteva festeggiare meglio questo quindicesimo anniversario della creazione di tale Istituto, giacché l’opera, sulla quale è imperniata questa Mostra tanto singolare e tanto illuminante, restituisce a Venezia il panorama, se non completo, larghissimo di quel complesso capitolo settecentesco artistico che concluse la vita millenaria della città «anadiomene».

Disegni teatrali dei Bibiena

Nella Mostra delle scenografie del Museo Teatrale della Scala dal Cinque all’Ottocento, tenuta cinque anni fa in questa sede, su circa 200 pezzi esposti quasi una cinquantina rappresentavano il contributo dei Galli Bibiena, distribuiti fra i nomi dei fratelli Ferdinando e Francesco e dei figli di Francesco, Giuseppe e Antonio: il che, in una prospettiva storica pur selettiva e limitata, indica già la parte che questa dinastia di pittori-scenografi-architetti occupa nella storia della scenografia e scenotecnica non solo italiana ma europea. Il clan familiare dei Bibiena, disceso nella papale Bologna dall’originario Casentino intorno alla metà del Seicento col suo capostipite Giovanni Maria, pittore nella bottega dell’Albani, si volge coi figli di lui Ferdinando, che ebbe anch’egli un tirocinio pittorico alla scuola del Cignani, e Francesco, e poi coi figli e nipoti di Ferdinando, alla scenografia e alla architettura teatrale, e sciama dall’Emilia e dalle sue corti di Parma e Modena soprattutto verso l’Europa centrale, dove costituisce sulle basi del linguaggio architettonico borrominiano, i fondamenti di una koinè scenografica e anche architettonica tardo-barocca mitteleuropea, e riempie di scene e di teatri la civiltà di corte di tutto il Settecento: nell’insieme è il piú suggestivo corrispettivo figurativo, aulico e fastoso, ancora mal noto, della fortuna europea del melodramma italiano.

La presente Mostra rappresenta per questo l’obiettivo piú importante, a lungo perseguito e preparato con passione e tenacia dalla Segretaria dell’Istituto, Maria Teresa Muraro, nel lavoro che da ormai quasi dieci anni l’Istituto sta compiendo nel campo della scenografia e della scenotecnica, ospitando mostre come quella ricordata della Scala e quella di Inigo Jones dello scorso anno, e preparandone in proprio, come quelle dei Bagnara e Bertoja nel ’62 (curata da Gino Damerini) e di Pietro Gonzaga nel ’67, e raccogliendo man mano una documentazione che sta diventando imponente. La preparazione è stata lunga e non facile e non si è arrestata di fronte a inceppi e dificoltà anche gravi: la dottoressa Muraro ha compiuto, dopo una ricognizione preventiva di tutti i repertori e cataloghi, un lungo iter di indagini dirette nei centri maggiori di raccolta dello sterminato materiale iconografico bibienesco, recensito finora solo in minima parte, in biblioteche e musei italiani e stranieri, individuando talora nuovi fondi e pezzi sconosciuti, da Roma a Vienna, a Parigi, a Monaco a Londra, le capitali dell’Europa settecentesca, fino ai fondi e alle biblioteche ricchissime degli Stati Uniti. Alla Muraro si è unita in perfetta armonia di passione e di interessi di ricerca la dottoressa Elena Povoledo, esperta di scenografia e scenotecnica di rara competenza e da tempo collaboratrice e consigliera apprezzata del nostro Istituto.

Piuttosto che un traguardo questa mostra rappresenta un punto di orientamento e di partenza per il lavoro futuro, in un campo che è per grande parte ancora terra incognita: tanti e tali sono i problemi di «recensione» completa e di collazione dell’immenso materiale iconografico, della sua collocazione e soprattutto delle attribuzioni, ché la fecondità della fama dei Bibiena insieme col carattere familiare, collettivo e anonimo della loro produzione, hanno provocato una selva di attribuzioni incerte o false, e per mettervi ordine sarà necessario certo un vasto e lungo lavoro di collaborazione internazionale. La consapevolezza dei complessi problemi aperti, attributivi e propriamente critici e storici, che potranno essere già dibattuti e trovare nuovi chiarimenti nella tavola rotonda che in settembre raccoglierà intorno a questa Mostra specialisti di scenografia e scenotecnica di diversi paesi, non diminuiscono la soddisfazione per questo primo risultato ora raggiunto.

Disegni veronesi del Cinquecento

La Mostra Disegni veronesi del Cinquecento, curata da Terence Mullaly, con la grande competenza che gli è riconosciuta in tale campo, è iniziativa della Fondazione Giorgio Cini e del Museo Civico di Verona.

È la prima, a mia conoscenza, rivolta alla ricerca – a me tanto cara – oltre che meritoria, dotta e convincente, che ci offre un panorama acuto e preciso del disegno veronese di questo secolo; ed è la prima di una serie di Mostre dedicate allo studio e al recupero del disegno degli artisti veneti di Terraferma, in un programma, abbastanza vasto, svolto in collaborazione e con il contributo del Consiglio Nazionale delle Ricerche.

Dal Veronese, che sovrasta naturalmente con il suo genio e con la sua solare raffinatezza, a Jacopo Ligozzi – che tanto mi ha interessato nel tempo dell’insegnamento fiorentino, data la grande attività svolta alle dipendenze dei Medici, per la bizzarria grafica, che rivaleggia con i Fiamminghi, per la minuzia e per la tecnica varia e squisita – vediamo richiamate e indirizzate, e qui talune per la prima volta bene individuate, tutte le voci valevoli di quel secolo fecondo, legate alla Città dell’Adige. Risalgono con Niccolò Giolfino all’indimenticabile grafia di Liberale, in cui echeggia ancora la grande voce del Pisanello. La disamina si chiude con Francesco Montemezzano, che si muove abilmente tra Paolo e Tintoretto, come basterebbe a provare la pala, risultata sottoscritta e datata, del Santuario della Madonna a Lendinara che ho avuto la fortuna di trovare.

Un panorama dotto e inconsueto, a cui non potrà mancare il compiacimento degli studiosi e dei conoscitori e il plauso di tutte le persone di gusto e a cui ha voluto partecipare il fior fiore del collezionismo europeo e un’ampia rappresentanza di quello statunitense. Plauso che non dovrà dimenticare le grandi cure dedicate a questo lavoro da Alessandro Bettagno a Licisco Magagnato, da Angelo Aldrighetti a Silvano De Tuoni (che ha sopportato le maggiori fatiche), da Angela Aricò Caracciolo, che ha tradotto il testo dall’inglese, a Neri Pozza che si è prodigato nella rapida realizzazione del catalogo, permettendo di recuperare i tempi fortemente compromessi dalle difficoltà della passata primavera.

Opere d’arte dalle raccolte della Fondazione in occasione del ventennio

L’esposizione allestita in queste sale rientra nella serie di manifestazioni che la Fondazione Giorgio Cini ha preparato per ricordare il compimento del suo primo ventennio di attività, nel campo culturale come in quello sociale. Accanto alle iniziative di studio in questa occasione concluse e a quelle più propriamente destinate a costituire il bilancio di un periodo ventennale di fervida attività, si é voluto presentare al pubblico non solamente alcune delle opere d’arte e degli oggetti più significativi che fanno parte delle raccolte della Fondazione, ma anche una illustrazione estremamente sintetica dei risultati conseguiti dal Centro di Cultura e Civiltà, dal Centro Marinaro e dal Centro Arti e Mestieri: non tanto una «mostra», quanto una «documentazione». Una esposizione, quindi, anzitutto di opere scelte tra quelle che sono patrimonio della Fondazione (che non le custodisce come un tradizionale museo, considerandole soprattutto valido e insostituibile strumento di ricerca e di lavoro); ma accanto ad esse un copioso materiale di studio e di documentazione: carteggi, libri, microfilm, e anche diagrammi, statistiche. Altro aspetto che caratterizza l’esposizione – e che logicamente consegue all’impostazione datale – è la presentazione, l’uno accanto all’altro, di «pezzi» di varia e disparata natura: dai quadri e dai disegni ai libri antichi e ai manoscritti e agli autografi, dalle sculture ai mobili e agli arredi d’arte, dalle armature e armi antiche alle medaglie e agli arazzi, dagli epistolari e dalle pubblicazioni alle fotografie, ai grafici, ai tabelloni statistici, alle pellicole che illustrano la vita e le attività di San Giorgio.

G.B. Cavalcaselle. Disegni da antichi maestri

Con questa mostra di 102 disegni di Giambattista Cavalcaselle (ai quali se ne aggiungono due di Joseph Archer Crowe), prestati dalla Biblioteca Nazionale Marciana di Venezia, l’Istituto di Storia dell’Arte della Fondazione Giorgio Cini e il Museo Civico di Verona intendono onorare la memoria del grande critico ottocentesco, il cui centocinquantesimo anniversario della nascita (1819) a Legnago è passato quasi inosservato fuori del Veneto. È merito di Giuseppe Fiocco, il compianto Direttore di questo Istituto, l’aver programmato tale mostra, che ora viene realizzata mercè la generosa collaborazione del Prof. Giorgio Emanuele Ferrari, Direttore della Biblioteca Marciana. La scelta di tali disegni spetta a Lino Moretti, che non solo li commenta nelle schede del catalogo, ma evoca nel saggio introduttivo le vicende umane del Cavalcaselle, nonché i caratteri della sua ricerca storica, basata appunto su di un personale metodo grafico. I suoi studi all’Accademia di Belle Arti di Venezia non fecero del Cavalcaselle un artista, ma gli consentirono di formarsi uno strumento di indagine prezioso quale un disegno riproduttivo d’una precisione accademica, che fu alla base della sua ricerca storica sulla pittura dei primitivi e dei maestri rinascimentali italiani e fiamminghi. Ma il Cavalcaselle non usò questo mezzo grafico come avevano fatto gli incisori, che lo avevano preceduto, per diffondere opere d’arte nella trascrizione incisoria: il disegno, nel senso di schizzo mnemonico, fu per lui un mezzo di ricerca onde arrivare alla determinazione degli elementi formali costituenti il tessuto dell’opera d’arte. Uno strumento segnico d’individuazione di un codice espressivo che, corredato da annotazioni d’ogni genere (colore, materia, stato di conservazione, intuizioni, ecc.), servisse al Cavalcaselle quale base per la sua vocazione di storico, alla quale si dedicò fin da giovane. Verso la fine dell’Ottocento la storia dell’arte venne agevolata dall’uso della riproduzione fotograica: e non c’è dubbio che tale strumento tecnico, con tutti i suoi pericoli derivanti dalla riduzione in bianco e nero della struttura coloristica d’un dipinto, facilitò l’avvento di una pratica conoscitiva di cui ancora oggi siamo i fruitori.

Disegni veneti del Museo di Stoccolma

Allorché il Nationalmuseum di Stoccolma pensò di allestire una grande mostra in occasione dell’ottantesimo compleanno di Gustavo VI Adolfo, fu chiesto al monarca quale tema gli fosse piú gradito. La risposta fu quella di una retrospettiva dedicata all’arte veneziana. Gustavo VI, archeologo appassionato e collezionista di arte orientale, che aveva preso l’abitudine di venire ogni anno in Italia per fare la sua campagna di scavo, diede la preferenza ad un tema legato a quella città, che lo aveva affascinato nel suo primo viaggio in Italia agli inizi di questo secolo. Racconta Carl Nordenfalk nella prefazione al catalogo della bellissima mostra allestita al Nationalmuseum di Stoccolma alla fine del 1962: «Circa sessanta anni or sono un giovane svedese intraprese un viaggio nei paesi del Mediterraneo. Viaggiò in treno e una delle prime fermate fu Venezia. Il giovane viaggiatore aveva un apparecchio fotografico. Dalle fotografie prese e raccolte in album dopo il ritorno a casa, non si viene a sapere molto dei suoi compagni di viaggio. A differenza dei soliti turisti egli non usava il suo apparecchio fatografico per ritrarre amici e conoscenti. Pare che la sua maggiore gioia sia stata quella di girovagare ritraendo la Venezia artistica che dappertutto lo entusiasmava».

Illusione e pratica teatrale. Mostra di scenografie del Sei e Settecento

Questa mostra, che segue a distanza di cinque anni quella dedicata nel ’70 ai Bibiena e illustra per campioni e momenti significativi l’evolversi dell’illusionismo teatrale nella prassi scenica italiana del Sei e Settecento, rappresenta un corollario delle «tavole rotonde» sul dramma musicale in Italia che da qualche anno sono divenute una felice consuetudine autunnale del nostro Istituto e hanno costituito un piccolo, affiatato e attivo sodalizio di studiosi di svariate discipline intorno ai molteplici aspetti che confluiscono nell’unità del dramma per musica. Di questi lo studio dello spazio teatrale, al quale l’Istituto ha rivolto una costante attenzione per merito particolare di Maria Teresa Muraro, è tra i più delicati per i problemi ricostruttivi e filologici che solleva a ogni passo e probabilmente il piú complesso, coinvolgendo tutte le componenti dello spettacolo.

Disegni di Tiziano e della sua cerchia

In occasione del quarto centenario della morte di Tiziano (27 agosto 1576), la Fondazione Giorgio Cini, sciogliendo una promessa formulata qualche anno fa, presenta due mostre: l’una dedicata ai disegni del Maestro, l’altra alle stampe. Si tratta di due mostre complementari che pongono all’ordine del giorno il problema della grafica tizianesca nel duplice aspetto di quella disegnativa, dove si concreta la nascita del segno come primo veicolo comunicativo dell’artista, e di quella incisoria, nel quale la forma segnica si elabora in modo più organico per essere affidata ad una tecnica di riproduzione in legno o su metallo. I risultati di tali due mostre, affidate a specialisti che ne hanno steso i rispettivi cataloghi critici, recheranno certamente un contributo sostanziale alla conoscenza di Tiziano.